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Lo sterco del diavolo: denaro e mercato

3 Dic, 2025
di Vincenzo Silvestrelli

La nascita della finanza e il ruolo del denaro nel medioevo sono stati descritti nel magistrale libro di Jacques Le Goff «Lo sterco del diavolo. Il denaro nel medioevo». Già nel titolo l’autore vuole indicare lo stretto legame fra la concezione del denaro e il suo legame con i rapporti sociali e la salvezza individuale in una società cristiana. Paradossalmente gli ordini mendicanti ed in particolare i francescani furono quelli che meglio ne capirono la funzione nella società mercantile del XIV secolo e, con il rifiuto personale della ricchezza, indicarono però le vie per un suo uso rivolto al bene comune. Pietro di Giovanni Olivi ad esempio sottolineò l’importanza di legare i prestiti ad una effettiva attività economica come la mercatura e non alla speculazione fine a se stessa. Nel libro Le Goff sottolinea come il primo Monte dei pegni di ispirazione francescana nacque a Perugia per la predicazione di Michele Carcano. (1462)

Jacques Le Goff racconta i secoli di storia in cui la Carità contava più del Mercato. Il denaro nel senso in cui lo intendiamo oggi è un prodotto della modernità, ma la modernità è un prodotto del Medioevo. E’ opportuno perciò tornare alle origini per affrontare una crisi in cui il denaro è diventato privo di contenuto reale (denaro fiat) e la finanza uccide l’economia reale e le speranze dei popoli in quanto è controllata da élites, spesso criminali, che la utilizzano solo per se stesse. Alla fine, con una eterogenesi dei fini, la finanza predatoria distrugge chi la maneggia come vediamo oggi nelle società occidentali.

La funzione del denaro nasce dalla relazione, dalla necessità di scambio che contraddistingue la società umana. Nel libro l’autore evidenzia come il denaro segua questa realtà nel Medioevo, sviluppando la finanza per facilitare le relazioni ed il commercio.

La questione monetaria è centrale in ogni contesto. La principale rappresentazione simbolica del denaro nell’iconografia medievale è una borsa che, appesa al collo di un ricco, lo trascina all’Inferno. L’avarizia è condannata in quanto disumanizzante. Con il tempo questa visione cambia e l’avarizia diventa per alcuni un valore in quanto promuove la ricchezza delle nazioni come sottolinea Bernard de Mendeville nel suo apologo “La favola delle api” (1705) dove guarda alla prosperità dell’Inghilterra. L’avarizia del resto è sempre “stimata” in ambiti finanziari, mentre è considerata un male per chi è interessato alla allo sviluppo della società . L’avarizia è infatti sterile, sia per la produzione di beni che nei rapporti sociali.

L’economista John Maynard Keynes (1883-1946) diceva in una conferenza del 1930 a Madrid «Vedo quindi gli uomini liberi tornare ai principi più solidi e autentici della religione e della virtù tradizionali: che l’avarizia è un vizio, l’esazione dell’usura una colpa, l’amore per il denaro spregevole […]. Rivaluteremo di nuovo i fini sui mezzi e preferiremo il bene all’utile […]. Ma attenzione! Il momento non è ancora giunto». Torniamo anche noi ad una economia sociale e rivolta al bene comune. Del resto oggi la crisi dell’ordine internazionale, costruito su un modello antitetico a quello proposto da Keynes nel 1943, è sempre più evidente.

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Vincenzo Silvestrelli

Vincenzo Silvestrelli

Presidente di Eticamente. Ha lavorato presso ELIS e presso Banca dell'Umbria